La primavera ha sempre avuto un significato speciale nel nostro immaginario. Sogniamo infatti delle vacanze in luoghi dell’eterna primavera, come fossero dei paradisi terrestri. E nel nostro immaginario lo sono fin dalla preistoria. In latino c’è un’espressione, tanto cara al secessionismo viennese, che rende bene l’idea: ver sacrum. Primavera sacra. Nel risveglio del sole, quindi della natura, quindi delle nostre energie, gli antichi videro qualcosa di sacro. Ma anche per i Cristiani: infatti, la primavera è la stagione della grande festa di resurrezione, la Pasqua, che cade la prima domenica dopo il primo plenilunio di primavera, ed è quindi una festa mobile come data. Ma questa lotta tra il caldo e il freddo, con il progressivo affermarsi della luce, tende il nostro essere nel ridestarsi del corpo. Come insegnano gli strutturalisti, c’è in noi qualcosa dell’uomo primordiale, e viceversa. Viene in mente la Sagra della Primavera di Igor Strawinsky, e cioè la riproposizione di un rito pagano della primavera, come viatico della musica contemporanea. I poeti sono soliti cantare che con la primavera torna l’amore. Ma per sentire tutto questo è necessario un contatto stretto con la natura, per sentire le “Voci della primavera”, come cantava il poeta lituano Maironis.

Cerchiamo nelle nostre città un albero che ci racconti la primavera, con le sue foglie di nuovo verdi. Cerchiamo un parco che ci faccia respirare. In Giappone, tutta la corte imperiale si reca a vedere, a contemplare la fioritura dei ciliegi. E io fiore è il primo simbolo della primavera. Abitando in campagna, vedo dalla mia finestra l’alternarsi delle stagioni nella natura. Non sottovalutiamo la sua potenza, che agisce in noi, anche se quando apriamo la finestra al mattino vadiamo un’altra finestra. Non si sfugge al proprio corpo.

Autore: Claudio Barna

Photo Credits: pinterest

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